CHE – L’ARGENTINO e CHE – GUERRILLA di Steven Soderbergh (2008)

“Che – L’Argentino” e “Che – Guerrilla” compongono il distico cinematografico dedicato alle imprese del rivoluzionario argentino Ernesto De La Serna Guevara, rispettivamente quella cubana e quella mortale boliviana. Girata da Steven Soderbergh ed usciti a poca distanza l’un dall’altro nel 2008, la saga si ispira al libro “La Guerra Rivoluzionaria a Cuba” dello stesso Guevara per la prima parte e alle vicende storiche della guerriglia boliviana per il secondo capitolo. Abituati ad un regista che ci ha fatto vivere col fiato sospeso tra thriller e azione (i vari “Ocean”, “Traffic”, “Intrigo a Berlino”) e grandi delusioni (“Knock Out”, “Contagion”, “Magic Mike”) diciamo che era piuttosto difficile pronosticare la qualità e l’attendibilità storico-ideologica dei due film.
In questo caso Soderbergh ci stupisce. Per lo meno nel primo film. Nessun americanismo, nessuna esagerazione, nemmeno tanto socialismo, tanta verità, tanta umiltà. Ecco di cosa si nutre il primo lungometraggio, dove si alternano sparatorie ed esplosioni a discussioni sull’umanità più che sulla politica.
Estremamente bello, duro “senza perdere la tenerezza”, assolutamente realista, il film non si abbandona a ritratti epici o a grandi discorsi, non cede alla retorica o ai pregiudizi.
E’ un film storico d’eccellenza. Il cast è talmente immedesimato, talmente insidiato nella storia che vien da chiedersi se sia dunque un film oppure un documentario a colori. Benicio Del Toro si guadagna con ogni onore la Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Cannes, anche grazie alla straordinaria e disturbante somiglianza fisico-gestuale con Guevara.
Purtroppo il discorso cambia con la parte seconda.
La sceneggiatura e il film vengono privati dell’ottima dinamica de “L’Argentino”, dilungandosi in discussioni e scene panico-naturalistiche troppo lente e poco contestualizzate (non a caso alla sceneggiatura ha partecipato Terrence Malick). Tuttavia mi sorge un dubbio e allo stesso tempo una possibile interpretazione di queste che potrebbero essere considerate pecche: e se fosse stato tutto nel progetto del regista?
E se avesse voluto coinvolgerci nell’entusiastica impresa cubana, così come ne era preso Guevara, nel primo film per poi farci sentire l’aria di delusione e di disperata ostentazione combattiva che gravava su di loro in Bolivia? E questo, dico, attraverso la lentezza del ritmo narrativo e il silenzio immanente delle scene.
Potrebbe essere. E se fosse stato tutto intenzionale, Soderbergh ha centrato l’obiettivo.
Questo è un Guevara silenzioso, pessimista, abbattuto dalle esperienze in Congo e in Venezuela, che vaga come un fantasma nella jungla, braccato da soldati governativi e “consiglieri militari” americani. Il finale è toccante, una silenziosa assunzione e allo stesso tempo una tetra deposizione. Poi lo sguardo di un Guevara giovane, pronto a sbarcare a Cuba, la sua prima avventura, e lo sguardo si perde tra i rivoluzionari… Peccato non si capisca se veda un’imminente vittoria o una sconfitta totale.

Nicolò Errico

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